MOLTO IMPEGNATO IL BALLETTO DI SAVERIA COTRONEO PERCHE’ HA RAPPRESENTATO IPAZIA
“La filosofa fanciulla che sfidò il suo tempo e che morì per le sue idee rivoluzionarie”, ha dichiarato la maestra

Ipàzia nacque ad Alessandria d'Egitto, nel 355, e vi morì nel marzo del 415.
La ricordiamo come una grande scienziata, una matematica, astronoma e filosofa dell’ antica Grecia.
Ella era figlia del matematico Teone, fu una donna di lettere e di scienza, a capo della scuola neoplatonica di Alessandria, che
all'epoca faceva parte dell'Impero Romano d'Oriente, dove insegnò filosofia e astronomia. È la prima matematica, la cui vita è ben
documentata, malgrado tutti i tentativi, che furono fatti al tempo, per distruggerne la memoria.
Durante la sua vita, Ipazia fu riconosciuta come una rinomata insegnante e saggia consigliera. L'unica fonte che elenca le sue opere,
l'enciclopedia bizantina” Suda”, le attribuisce un commento sulla “Aritmetica” in tredici volumi di Diofanto di Alessandria, che potrebbe
essere sopravvissuto in parte, poiché fu incorporato nel testo originale di Diofanto.
Un altro suo commento, andato perduto, fu scritto sul trattato di Apollonio di Perga sulle sezioni coniche. Fu anche coinvolta
nell'edizione e nel commento del Libro III dell'”Almagesto” di Claudio Tolomeo, portata avanti da suo padre, Teone.
La scienziata era anche in grado di costruire astrolabi: ”uno strumento che già dal III secolo a.C. serve per comprende le stelle. Ve ne
sono spesso di molti diversi tra loro. Si va dai grandi strumenti armillari adibiti a rilevare le posizioni degli astri, come l'astrolabio
armillare di Claudio Tolomeo (II sec. d.C.), agli strumenti di modeste o piccole dimensioni utilizzati nel calcolo astronomico o in
marineria: l'astrolabio piano, l'astrolabio universale, l'astrolabio universale Rojas, l'astrolabio nautico”.
Ella era capace anche di costruire gli idrometri, strumenti che rilevano le quote idrometriche, cioè il livello dell'acqua, dei fiumi o dei
laghi.
Ipazia aveva tutti i titoli per succedere al padre, come avvenne, nell’insegnamento della matematica, astronomia e filosofia nella
comunità alessandrina. Infatti in questa città era stato fondato, quasi 700 anni prima da Tolomeo I Soter, un glorioso Museo.
Quest’ultimo era stato distrutto al tempo della guerra condotta da Aureliano, ma la tradizione dell'insegnamento delle scienze mediche
e della matematica, era però continuata ad Alessandria, mantenendo intatto l'antico prestigio, come conferma anche Ammiano
Marcellino.
Ipazia, già almeno dal 393, era a capo della scuola alessandrina, come ricorda Sinesio, giunto ad Alessandria da Cirene per seguirvi i
corsi.
Conosciamo la sua vita grazie alle testimonianze dei suoi contemporanei, in particolare di Damascio, che alla fine del V secolo si
stabilì ad Alessandria. Egli scrive che Ipazia «di natura più nobile del padre, non si accontentò del sapere che viene attraverso le scienze
matematiche a cui era stata introdotta da lui, ma, non senza altezza d'animo, si dedicò anche alle altre scienze filosofiche. La donna,
gettandosi addosso il mantello e uscendo in mezzo alla città, spiegava pubblicamente, a chiunque volesse ascoltarla, Platone o
Aristotele o le opere di qualsiasi altro filosofo».
Pur non essendo cristiana, Ipazia era nota per la sua tolleranza nei confronti dei primi cristiani, tra i quali ebbe molti studenti, come
Sinesio di Cirene, successivamente eletto vescovo di Tolemaide. Fino alla fine della sua vita, Ipazia consigliò Oreste, allora prefetto
d'Egitto, che era in aperto conflitto con il vescovo Cirillo di Alessandria. Questa profonda amicizia le costò la vita.
Le voci secondo cui Ipazia avrebbe alimentato il conflitto tra Oreste e Cirillo, facendo uso di arti magiche, spinsero una folla di cristiani,
forse guidati da monaci cristiani parabolani, nel marzo del 415, ad assassinarla, smembrarla e bruciarne il corpo. In particolare, furono
incitati a uccidere Ipazia da un capo spirituale di nome Pietro, sotto l'influenza di Cirillo di Alessandria.
Questa tesi viene sostenuta anche da altri storici, quali il filosofo pagano Damascio, che si era recato ad Alessandria intorno al 485,
quando ancora «vivo e denso di affetto era il ricordo dell'antica maestra nella mente e nelle parole degli alessandrini».
Divenuto poi scolarca della scuola di Atene, scrisse, cento anni dopo la morte di Ipazia, la sua biografia. In essa sostiene la diretta
responsabilità di Cirillo nell'omicidio, più esplicitamente di quanto non faccia Socrate Scolastico. Non appena il vescovo, si accorse del
grande numero di persone che frequentavano la casa di Ipazia, «si rose a tal punto nell'anima che tramò la sua uccisione, in modo che
avvenisse il più presto possibile, un'uccisione che fu, tra tutte, la più empia».
Anche Damascio rievoca la brutalità dell'omicidio: «una massa enorme di uomini brutali, veramente malvagi [...] uccise la filosofa [...] e
mentre ancora respirava appena, le cavarono gli occhi».
Il riferimento di Damascio alle frequentazioni private della casa di Ipazia è stato collegato da alcuni studiosi alla possibile attività di
culti misterici neoplatonici che avrebbero fatto parte dell'insegnamento di Ipazia: questo perché la filosofia neoplatonica comportava un
insegnamento pubblico (demosia), ma anche riunioni private (idia) dove era forte la dimensione esoterica.
Ipazia in queste riunioni avrebbe offerto per necessità uno spazio di incontro alle élite pagane della città di Alessandria, diventati ormai
una minoranza, considerando che la maggioranza si era convertita al cristianesimo.
In realtà ella era invisa perché come filosofa e scienziata insegnava ponendo questioni sulla validità del sistema tolemaico, che a
quell'epoca si stava consolidando. Ella argomentava sui temi astronomici e fisici tipici della Rivoluzione Scientifica: come possono le
stelle erranti (i pianeti) descrivere epicicli e deferenti?
Ancora, lo storico antiocheno Giovanni Malalas riferisce della responsabilità di Cirillo nell'omicidio di Ipazia.
E’ stata considerata giustamente, da alcuni autori, una martire della libertà di pensiero, per come avvenne il suo omicidio e per il
coinvolgimento, se non l’ordine, di Cirillo.
A partire dall'Illuminismo, Ipazia viene considerata una vittima del fanatismo religioso e una martire laica del pensiero scientifico. Nel
Settecento lo storico britannico Edward Gibbon definì la sua morte una «macchia indelebile sul carattere e sulla religione di Cirillo
d'Alessandria».
Esichio, in un frammento conservato nella “Suda”, sostiene che Ipazia fu uccisa a ragione dei suoi insegnamenti: “Fu fatta a brandelli
dai cristiani alessandrini, e i pezzi del suo corpo brutalizzato vennero sparsi per tutta la città, e questo lei patì per invidia della sua
straordinaria saggezza, ma soprattutto per ostilità contro la sua sapienza astronomica».
Leggiamo: ”Dopo l'uccisione di Ipazia fu aperta un'inchiesta. A Costantinopoli regnava di fatto Elia Pulcheria, sorella del minorenne
Teodosio II (408-450), che era vicina alle posizioni del vescovo Cirillo d'Alessandria. Entrambi furono poi dichiarati santi dalla Chiesa. Il
caso fu archiviato, secondo Damascio, a seguito dell'avvenuta corruzione di funzionari imperiali.
Anche secondo Socrate Scolastico, la corte imperiale fu corresponsabile della morte di Ipazia, non essendo intervenuta, malgrado le
sollecitazioni del prefetto Oreste, a porre fine ai disordini precedenti l'omicidio. Questa tesi è condivisa anche da Giovanni Malalas,
secondo il quale l'imperatore Teodosio «amava Cirillo, il vescovo di Alessandria. In questo periodo gli alessandrini, col permesso del
vescovo (Cirillo) di fare da sé, bruciarono Ipazia, un'anziana donna, filosofa insigne, da tutti considerata grande».
Gli autori materiali dell’omicidio in realtà furono i parabolani, una setta i cui componenti venivano scelti dal vescovo, il quale ne
esercitava anche il controllo. Erano turbolenti e facinorosi e nel Secondo Concilio di Efeso bastonarono diversi vescovi che avrebbero
potuto opporsi al loro vescovo, Discoro. Istituiti per dare conforto ed aiuto agli appestati, erano diventati una sorta di polizia privata.
In realtà, di questa grande scienziata si è parlato molto poco, Raffaello Sanzio quando dipinse la “Scuola di Atene”, un affresco situato
nella “Stanza della segnatura” quale sede dei Musei Vaticani di Roma, riportò ben 58 personaggi, tra cui Aristotele, che ha le sembianze
di Bastiano da Sangallo. Egli rappresenta il processo dal mondo del pensiero a quello sensibile, mentre Platone, dipinto come Leonardo
Da Vinci, incarna la somma idea del bene.
Tra i filosofi e gli scienziati non poteva mancare Ipazia, che in un primo momento Raffaello aveva sistemato al centro della tela, ma fu
costretto a toglierla. L’insistenza fu tanta perché al tempo, non si poteva accettare che una donna potesse avere conoscenze ed
intuizioni simili o addirittura superiori all’uomo. Infatti, dall’originario atteggiamento pro femina di Gesù, ricordato come il primo
femminista della storia, si era passati, grazie all’insegnamento del tredicesimo apostolo, S. Paolo, a relegare la partecipazione della
donna, in una situazione di inferiorità rispetto all’uomo.
Quindi, per dare testimonianza al vero, Raffaello furbamente pensò di spostarla sulla sinistra del quadro, dandole le sembianze del
nipote del papa, Giulio II, Francesco Mario della Rovere. Per distinguerla da tutti gli altri, ella guarda diritta verso gli interlocutori, sembra
quasi dire: “Guardate non sono finita, ci sono anch’io”.
Nel 2009, il regista Alejandro Amenabar ha portato sul grande schermo, con il film “Agora”, la storia di Ipazia d'Alessandria,
interpretata magistralmente da Rachel Weisz, mentre la M° Saveria Cotroneo ne ha narrato le vicende nel suo spettacolo, che si è
tenuto presso l’Hortus Conclusus, nell’ambito della manifestazione di Benevento Città Spettacolo, in questa 45° edizione.
Hanno ballato Eugenia Rossi, Fernando Insogna, Giorgia Sabbatini, Carmen Marro, Iris Di Rienzo.
Il gruppo canoro di Daniela Polito, Vox Armonica, ha cantato in greco i testi di Roberta dei Colli.
Hanno partecipato Vincenzo De Luca, Daniela Polito, Selene Pedicini, il tutto con la regia di Linda Ocone.
La rappresentazione si è snodata con la presentazione di Ipazia, “una donna da ascoltare, una donna sapiente che ha osato guardare
le stelle. Lei è lì, una donna sublime”. La voce narrante dice ancora: ”Quando tutti se ne vanno lei rimane a guardare il cielo, non vuole
dormire, non vuole sprecare un attimo, senza il sapere. Lei una donna, resta ancora qui, quale filosofa, scienziata. Ella afferma di
conoscere l’ordine delle stelle” ed è proprio per questo che viene derisa. Il popolo mormora dicendo: ”Come ha l’audacia di parlare?
rinneghi il suo sapere, prima che sia troppo tardi.
Ipazia recita dicendo: “Come avrei voluto essere un astro e vorrei perdermi in quella luce, al tempo stesso così vicina e così lontana. “In
realtà ella cerca la verità negli astri. Da qui l’esortazione agli uomini: ”Siate luci, siate corpi celesti”.
Noi spettatori poi siamo stati accompagnati nello Spazio Eventi, recentemente ristrutturato, in cui le luci ed i sedili di pietra fanno bella
vista di sé.
Qui Ipazia ci ha raccontato di aver fatto un sogno, che si ripete ogni volta. Vede “una folla in tumulto, sembra che abbiano rami e spine,
con i quali mi strappano la pelle. Un presagio? No! - si rincuora Ipazia - “solo una notte senza sonno. Una notte così bella, non voglio
morire…”Il popolo di rimando sussurra però: ”Non c’è tempo!”. Il racconto continua con i particolari della sua cattura: “Ero sola, salii sul
cocchio per tornare a casa, fermai i cavalli, mi voltai e vidi un’aquila, volava libera nell’aria di quel pomeriggio…Poi mi mossi verso il
vento…Stracciate le veste, le membra, lo spirito giace”.
Uno spettacolo, dunque, di non solo danza, ma in realtà un originale modo per raccontare la malvagità umana, la sopraffazione,
l’omicidio. Per questo, non a caso la voce narrante, accompagnata dal violino, afferma: ”Nessuno può permettersi di strappare una
foglia dall’albero, di recidere un ramo dall’ albero…”.
Un dramma raccontato con estrema eleganza.
Abbiamo chiesto alla M° Saveria Cotroneo i motivi che l’hanno spinta ad omaggiare questa grande scienziata, così poco nota, ed ella ci
ha risposto dicendo: ”La filosofa fanciulla che sfidò il suo tempo e che morì per le sue idee rivoluzionarie. La prima donna in assoluto a
contrastare le idee del suo tempo e di cui cercarono, (invano n.d.r.) di cancellarne l’esistenza”.
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