MATTEOTTI, RIFORMATORE O RIFORMISTA? - Politica

MATTEOTTI, RIFORMATORE O RIFORMISTA?

Il 3 gennaio 1925, Mussolini su assume la responsabilità politica, morale e storica, ma non penale, del delitto Matteotti

Anche se sono trascorsi più di 10 giorni da quando l’ANPI di Benevento ha commemorato Giacomo Matteotti, nel centenario del suo
assassinio, riteniamo di dover parlare di quell’incontro che, condotto dal prof. Amerigo Ciervo, ha avuto luogo nell’Auditorium della Spina
Verde, anche perché chi scrive non fa mai la cronaca degli avvenimenti di cui parla nei suoi articoli.
Matteotti era annoverato tra i riformisti del partito socialista, una corrente di pensiero che deroga dai principi di massima per venire a
patti al fine di risolvere i problemi. Tuttavia, Riccardo Lombardi, in un suo articolo di fondo, pubblicato dall’”Avanti!” nei primi anni settanta,
con il titolo “Riformatori e Rformisti” , annovera Matteotti tra i riformatori del suo tempo.
Infatti, Matteotti, nato il 22 maggio del 1885 in una ricca famiglia di Fratta Polesine in provincia di Rovigo, difendeva, fino al limite delle
legalità, i braccianti, i lavoratori della terra che probabilmente venivano assunti, ma trattati bene, dal padre per essere impiegati nelle sue
molto estese tenute agricole.
A scorrere la sua biografia, si hanno abbastanza elementi di come Matteotti fosse un uomo molto impegnato nella sua vita politica,
una vita dai contenuti riformisti cui ispirava, come dicevo, il suo pensiero, una vita che derogava dai principi massimalistici .
Considerata la sua avversione rispetto ai conflitti bellici, in seguito alla guerra di Libia, rispetto ai tentennamenti e alle posizioni
filointerventiste del riformista Filippo Turati, Matteotti si schierò, ma solo in riferimento a questo episodio, con i massimalisti di allora, nel
corso del XIII congresso del Partito Socialista Italiano, tenuto a Reggio Emilia nel 1912. In quel Congresso, la corrente gradualista a cui
faceva riferimento Matteotti, passò per la prima volta in minoranza, dietro ai massimalisti guidati di Benito Mussolini.
Se si pensa alla fine che Mussolini ha fatto dopo, quando lascia la direzione dell’”Avanti!” per fondare “Il giornale d’Italia” con l’oro dei
francesi, per poi diventare interventista, una posizione alla quale si era lentamente avvicinato già quando era ancora alla guida del
quotidiano socialista (chi non ricorda il suo articolo di fondo “Neutralità attiva ed operante” pubblicato dall’”Avanti!”?), bisogna dar ragione
a Lenin quando diceva che “l’estremismo è malattia infantile del comunismo”.
Nel 1915, Matteotti si segnalò per l’atteggiamento irriducibile contro la guerra, al punto da essere rinviato a giudizio per “disfattismo”,
subendo una condanna dal Tribunale., che fu poi annullata dalla Cassazione. Chiamato alle armi, venne allontanato dal fronte come
elemento pericoloso. Congedato nel 1919, riprese con grande impegno l’attività politica nel Polesine e nel Ferrarese. Nel 1919 fu eletto
deputato nel collegio di Ferrara-Rovigo e confermato nel 1921 e nel 1924.
Laureato in Giurisprudenza, il 7 novembre 1907, a soli 23 anni, presso l’università di Bologna, con 110 e lode, la sua attività politica e
parlamentare si distinse nel settore della Previdenza sociale (pensione di vecchiaia e assicurazione contro gli infortuni) e assistenza
sociale e sanitaria, Si deve ritenere, quindi, che la l’istituzione dell’Inps da parte di Mussolini, era nell’ordine delle cose da fare, poiché le
lotte dei socialisti e di Matteotti avevano spinto abbastanza in quella direzione.
“Ricordiamo Giacomo Matteotti”, dice il presidente del Senato Pietro Grasso nel corso della sua commemorazione di Matteotti nell’Aula
di Palazzo Madama,in occasione dei 90 anni dal suo assassinio, “per la sua irriducibile attività di deputato, pubblicista, avvocato, scrittore
di testi politici, intransigente antifascista. Si iscrisse al Partito Socialista Italiano per l’ideale di generosità e di difesa dei più deboli.
Nell’ultimo scorcio del 1910 fu tra i protagonisti della vita politica di Rovigo, arrivando a ricoprire contemporaneamente la carica di
sindaco di Villamarzana e di consigliere di diversi Comuni della zona”. Come ho detto anche io in questa nota, “fu tra i più strenui
avversari della guerra libica, tanto che, nel congresso del Partito socialista, che si tenne a Reggio Emilia nel 1912, prese le distanze
dall’area social riformista turatiana, esitante nel condannare l’impresa, e si avvicinò, ma solo in quella circostanza, ai massimalisti” .
Mussolini, alla guida della marcia su Roma in un vagone letto, non ostacolata dall’esercito del re, il quale, nel corso della visita fatta a
Mussolini in ospedale dopo il suo ferimento in guerra, disse: “l’Italia saprà ricordarsi di lei”, ricevette da “sciaboletta”, (così veniva
soprannominato il re data la sua bassa statura) l’incarico di formare il governo.
Poiché non aveva una maggioranza parlamentare, Mussolini, appena insediatosi, provvide subito a far varare, il 18 novembre1923, una
nuova legge elettorale, la legge Acerbo, che conferiva la maggioranza del 75% dei parlamentari alla formazione politica che aveva
ottenuto la maggioranza relativa dei voti con un minimo del 25% dei suffragi. Una specie di Porcellum, con la differenza che la porcata
elettorale, come ebbe a definirla il suo proponente, il legista Calderoli, il premio di maggioranza era molto inferiore del 75%
Il risultato nelle elezioni politiche del 6 aprile 1924 consenti a Mussolini di superare i limiti imposti dalla legge Acerbo. Il tutto però
avvenne con brogli, intimidazioni, presidio dei seggi da parte dei fascisti, ai quali fu consentito di votare più volte nelle diverse sezioni
elettorali.
Il 30 maggio 1924, Matteotti denunciò il clima in cui era avvenuta la competizione del 6 aprile di quell’anno, chiedendone l’annullamento,
tra le interruzioni dei deputati fascisti e i ripetuti inviti a Matteotti di concludere il suo intervento.
Quando Matteotti ebbe finito di parlare, rispetto alle congratulazioni dei deputati socialisti e dell’opposizione, disse: “Adesso
preparatevi il discorso per il mio funerale”. Ma Matteotti era iscritto a parlare nella seduta dell’11 giugno del 1924, un seduta nel corso
della quale avrebbe denunciato gli scandali del fascismo, senza escludere neanche il re, in ordine all’affare petroli, scandali sui quali
Matteotti era venuto a conoscenza nel corso del suo recente viaggio a Londra.
Bisognava impedire che Matteotti parlasse, oltre al fatto di dover essere punito per quanto affermato nel suo discorso del 30 maggio.
Cosi, il 10 giugno del 1920, una squadra di 5 fascisti, capeggiata da Amerigo Dumini, rapì Matteotti sul Lungotevere Arnaldo da Brescia.
Introdotto poi in una vettura di proprietà del direttore del “Giornale d’Italia”, venne percosso con una lima, mentre lui diceva: “Voi uccidete
me, la l’idea che è in me non muore mai”. Matteotti, che era giovane, oppose una forte resistenza, sino a infrangere un vetro
dell’autovettura. Poi, dopo aver assestato un calcio nel basso ventre di uno dei suoi aguzzini, venne da questi colpito con un fendente,
provocandone la morte.
Il cadavere di Matteotti venne poi ritrovato solo due mesi dopo, il 16 agosto 2024, lungo la via Flaminia, in località Quartarella, in una
fosse scavata in una fitta boscaglia. Il 20 agosto le spoglie vennero trasportate, via treno, a Fatta Polesine, suo luogo natio,
accompagnate, lungo il percorso, da un enorme tributo popolare.
Grande fu l’impressione che l’uccisione di Matteotti suscitò in tutto il Paese per l’efferatezza del gesto e per il fatto che la stessa fosse
riconducibile a Mussolini.
“A quasi un secolo dalla morte”, dice sempre Pietro Grasso, in quella commemorazione, “Giacomo Matteotti non rappresenta soltanto
l’espressione più alta e la vittima più nota e ricordata di una stagione tragica della nostra storia, ma è divenuto patrimonio di tutti, nella
misura in cui la sua vita e la sua morte, le sue idee, i suoi valori, le sue speranze fanno ormai parte della comune coscienza nazionale”.
Stefano Caretti, uno dei suoi biografi ma anche suo estimatore, nel testo “MATTEOTTI. IL MITO” parla delle ripercussioni avutesi
all’estero, in ordine all’assassino del deputato socialista. Albertville, 15 giugno 1924; Chicago, 15 giugno 1924, Pernambuco, 15 giugno
1924; Coùeron 17 giugno 1924; Waltham 17 giugno 1924; Sarre, 18 giugno 1924; Montignies sur Sambre, 18 giugno 1924; Lione, 18
giugno 1924; Lima, 19 giugno 1924; Parigi,19 giugno 1924; Chicago,19 giugno 1924; Namur 21 giugno 1924; Béziers, 22 giugno 1924;
Rosario, 22 giugno 1924, Londra, 23 giugno 1924; Draguignam, 23 giugno 1924; Tunisi, 24 giugno 1924; Jacksonville,26giugno 1924; Baha
Vlanca 26 giugno 1924; Hoboken “8 giugno 1924; New Kesington 30 giugno 1924; Mulhouse, 2 Luglio 1924; Utrecht, 2 luglio 1924; Barre, 2
luglio 1924; Alessandria d’Egitto, 4 luglio 1924; Scranton, 9 luglio 1924 Pittsburg, 10 luglio 1924; Dillonvale, 13luglio 1924; Moltreal, 14
luglio 1924; Cohes, 14 luglio 1924; Sal Francisco, 25 luglio 1924; Firminy, 5 agosto 1924, Balnearia, 20 agosto 1924; New York, 21 agosto
1924; Baltimora, 25 agosto 1924 Buffalo, 26 agosto 1924; Lione, 28 agosto 1924; Saint Nicolas du Port, 11 settembre 2024; Oporto, 1024;
Monthois, 1924; Moyeuvre Grande,1924.
Per non tediarvi nel pubblicare le ripercussioni all’estero sull’assassinio di Matteotti, ometto di riportare altre 60 testimonianze e una
quarantina di devozioni. Moltissime sono state anche le testimonianze di italiani. Posso dire che anche Raffaele De Caro, insieme ad
Amendola, Bencivenga, Berlinguer (non Enrico), Bracco, Giuffrida, Macchi, Moé, Presutti e Saita, rivolto a Velia Matteotti, vedova del
martire socialista, scrisse: “Deputati democratici secessionisti riuniti oggi intorno alla memoria di Giacomo Matteotti s’inchinano
rispettosamente dinanzi al suo dolore”.
Di fronte a questa immensa condanna dell’assassinio di Matteotti, “sciaboletta” non ritenne di destituire Mussolini da capo del governo.
Anzi, il 3 gennaio del 1925, in un discorso alla Camera, Mussolini, forte del sostegno di “sciaboletta”, si assunse la responsabilità politica,
morale e storica, ma non quella penale, del delitto Matteotti. Dopo di che, chiuse quell’aula “sorda e grigia”, trasferendo in un palazzo di
piazza Venezia la sua guida della nazione.
L’avv. Augusto Ferrari, che in un primo momento aveva accettato il patrocino della vedova di Matteotti, Velia, successivamente, in una
lettera inviata ai giornali e allo stesso Farinacci, segretario del partito nazionale fascista, annunciò la sua decisione di rinunciare al
mandato.
“Egregio Avv.”, scrive la moglie di Matteotti, “leggo in questo momento sul “Corriere della Sera” la notizia della sua rinuncia al patrocinio
per la mia difesa. Non posso pensare che un giornale serio, pubblichi cose di un certo valore morale non vere. Mi dolgo profondamente
in tanta sventura, non l’abbia potuto indurre, non dico a mantenere il mandato, se ciò era per Lei incompatibile, ma a consentirmi almeno,
prima di rendere pubblica la sua decisione, di dimostrare che l’accusa rivoltami di aver cambiato pensiero, non è giusta. Anche il dolore
ha le sue dignità a cui si rinuncia con fatica. Non bisogna vedere in questo atto un sentimento di parte, mai esistito in me, ma piuttosto
una mancanza di competenza, delle ragioni che lei mi espone. Non seppi mai, né supposi che la mia difesa potesse andare unita a quella
dei miei bambini, ma bensì procedere nell’atto pratico tutta affatto isolata. Questa fu sempre la mia convinzione. A mio torto, ma
involontario, non mi diedi ragione che vi potesse essere incompatibilità, tra un collega e l’altro, quando esistesse l’elemento de l’onestà
professionale e politica, se questa vi fosse. Mi dichiarai a Lei che ero affatto all’oscuro di queste questioni, e ogni consiglio, ogni parola
illuminata per la mia incompetenza, sarebbe stata non solo ascoltata, ma seguita senza discutere. Questa parola non venne e mi parve
inopportuno domandarla, poiché mi pareva mancanza mia richiedere a Lei, esercitato nella più alta professione, cose che parvero futili,
per la mia mentalità”.
La lettera continua, ma non è il caso di riportare il testo integrale.
“Nel giugno del 1924, il rapimento e l’assassinio di Giacomo Matteotti”, scrive Stefano Caretti nell’introduzione, “suscitò come è noto sia
per la forte personalità dell’ucciso che per l’efferatezza inaudita dell’evento delittuoso, sdegno e raccapriccio nelle coscienze della
maggior parte degli italiani. Sul piano infatti della già agitata vita parlamentare quel silenzio, imposto con brutale cinismo alla più
battagliera e irriducibile voce del dissenso antifascista, radicalizzò lo scontro politico e indusse le opposizioni a roventi condanne e quindi
all’abbandono dell’aula di Montecitorio, da cui doveva generarsi l’Aventino; mentre, sul versante dell’opinione pubblica e dei sentimenti
popolari, quel crimine, consumato proprio nei giorni del maggiore fervore intellettuale e morale della vittima, e selvaggiamente eseguito
giusto all’ombra protettrice delle maggiori autorità governative, sconvolse gli animi di moltitudini di persone di ogni ceto e classe
sociale e ne provocò subitanee reazioni di costernazione profonda e di rabbia importante”.
Anche il questo caso, l’introduzione , che si dilunga in 63 pagine, ricca di particolari, non richiede la sua integrale pubblicazione. Voglio,
però, ricordare l’impegno assunto dal sindaco Mastella, in occasione del 25 aprile dell’anno appena trascorso, nel dire che a Matteotti
sarebbe stata intestata qualcosa molto rilevante, perché il suo nome fosse ricordato sempre, dopo che è stato sloggiato dalla piazza a lui
intitolata, nel 1945, dal sindaco Cifaldi. Dopo il primo “sfratto”, decretato dal sindaco Pietrantonio negli anni ottanta, l’opposizione
dell’Istituto italiano di storia patria vanificò il tentativo del sindaco che si era formato nell’Azione Cattolica.
Poi, dal momento che evidentemente le pressioni rispetto allo “sfratto” di Matteotti dalla piazza dove c’è la chiesa di Santa Sofia, dal
2011 patrimonio dell’Unesco, erano insistenti, il sindaco Viespoli non ha potuto non emulare un suo predecessore, una emulazione che
ha sloggiato per sempre Matteotti da quella pazza.
L’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) ha proposto di intitolare a Matteotti la villa comunale. Non conosciamo, però, ancora
il pensiero del sindaco rispetto a questa proposta.
Giuseppe Di Gioia



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